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27 giugno 2012

Dante 01

Il mio precedente post sui film di fantascienza ha raccolto qualche commento perplesso, come se il cinema non avesse alcun legame con la realtà che qui trattiamo, o se nei film non fosse spesso rappresentato ciò che non si può comunicare in altro modo. Come se il cinema non fosse veicolo di messaggi.
La fantascienza è genere d’elezione per poter raffigurare, in una cornice ambientata nel futuro, la realtà presente o prossima ventura.
Ecco perché ritengo che una visione critica di alcuni film di SF possa aiutarci a leggere la realtà, talvolta molto meglio di quanto non possiamo fare tramite la lettura attenta dei giornali e delle notizie.

Ho di recente visto il film “Dante 01”, prodotto nel 2008 dal regista francese Marc Caro.
Rimando a wikipedia per la trama (in italiano gran poca cosa, in inglese già meglio).
Questo film mi ha colpito e mi ha lasciato un senso indefinibile, come se i richiami a simboli e mitologie, addirittura ridondanti, fossero un mezzo per comunicare qualcosa di non trasmissibile “in chiaro”. Oppure no.

Chiamatemi pure dietrologa e fatemi pure notare che leggo troppo il Franceschetti. E’ una sensazione, e chiedo aiuto ai miei lettori per capire se questa sensazione possa avere un qualche fondamento.

"Dante 01" è il nome di una stazione spaziale che funge da carcere di massima sicurezza e laboratorio sperimentale, orbitante attorno al pianeta Dante, un globo infernale e inabitabile.
 Dante 01 ospita due medici, due guardie e sei detenuti, criminali psichiatrici che hanno accettato di diventare cavie per sperimentazioni genetiche, evitando così la pena di morte.

I detenuti hanno nomi evocativi: Cesare, Lazzaro, Moloch, Buddha, Rasputin, Attila. I due medici non sono da meno: Persefone e Caronte, il capo della stazione orbitante.
Curioso che il regista si chiami Caro... come Caron, appunto Caronte, il traghettatore di anime della mitologia greca e latina, che ritroviamo puntualmente nella Divina Commedia di Dante.

A scombussolare la già movimentata vita della stazione-carcere, giungono Elisa, ricercatrice, e San Giorgio, un uomo dal passato misterioso così soprannominato per il tatuaggio che porta impresso su un braccio.
San Giorgio che sconfigge il drago.

Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago:
se abbraccerete la fede in Cristo,
riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro.
(San Giorgio - Jacopo da Varazze, “Legenda Aurea”)

Molte scene e molti rimandi mi fanno pensare che non sia soltanto, come descritto in questa bella recensione di Enrico Azzano, una rappresentazione di ciò che ci aspetta: la disumanizzazione come conseguenza della cieca fiducia nella tecnologia.
Ma come scrivevo, è una sensazione sfuggente e non ho messo a fuoco il bandolo della matassa.

Se qualcuno avesse spunti a riguardo e volesse condividere la sua visione lo ringrazio fin da ora.
In ogni caso consiglio senz’altro di visionare questo film.


-- Intervista al regista Marc Caro --

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Tutto è ormai così evidente, la disumanizzazione è lo svuotamento della coscienza da ogni esperienza lirica. Non è il timore mistico a produrre in noi l'indiamento ma la tensione poetica che appunto come Dante ci rivela è intima tensione / partecipazione di Amor.
La finalità del mondo tecnologico è quella di estinguere in noi la "sete d'infinito".
E' puro satanismo.
Un saluto da Mammone

Gaia ha detto...

Estinguere la sete d'infinito, sì, è una bella definizione. Anche se non la metterei come "finalità del mondo tecnologico" tout-court, certo è qualcosa verso cui cui spinge chi detiene il potere (potere anche di innescare "état d'esprit").

Grazie per la visita, un saluto a te.
gaia

Unknown ha detto...

d'altronde la parola stessa fantascienza altro non significa che fantasie di scienza,perciò è più che lecito che dietro ogni fantasia ci sià un barlume di verità,i film non sono altro che codici e la tua analisi è corretta.